I taccuini di Tarrou – 124

Spesso in questi giorni ho sentito dire che la libertà ha un costo. Dunque la libertà è un bene materiale, un prodotto, una merce, si paga, si vende, si compra. Una frase terribile, scandalosa, che avrebbe potuto pronunciare il Grande Inquisitore di Dostoevskij e rivela il senso più profondo del mondo occidentale, americanizzato, dominato da un capitalismo pornografico che riduce tutto, ma proprio tutto, compresa l’esistenza, al mercato. È questo mondo, in cui anche la libertà dell’uomo, ovvero il suo bene in assoluto più prezioso, è ridotto a una merce da vendere e acquistare, che ho sempre rifiutato. Anche noi in Europa, nel «paese dei santi prodigi», secondo l’ideale definizione di Chomjakov ripresa polemicamente da Dostoevskij nelle Note invernali su impressioni estive, siamo prigionieri di un regime, un regime subdolo, dagli infiniti tentacoli, il regime del mercato, che ha nell’Utile il suo supremo dio e nella democrazia il suo volto rassicurante.

Del resto, in questi giorni di assurdità se ne dicono tante (ho sentito un generale parlare persino di «etica militare», uno degli ossimori più stridenti nei quali mi sia mai imbattuto), ovunque trionfa la rettorica con i suoi facili sensazionalismi, a spese delle vittime.

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